martedì 22 novembre 2011

CHIARIMENTI N° 4, PRESENTAZIONE COME ATTRAVERSO IL FUOCO; Ascoli Piceno 20-11-2011

Propongo qui di seguito una rapida disamina di alcuni punti salienti della mia opera. Essi sono utili per rintracciarne il senso e poter orientare le lettura. In alcuni casi si tratta di questioni già trattate in altri "chiarimenti" precedentemente pubblicati su questo stresso blog, ma altri passaggi sono del tutto inediti e credo possano risultare interessanti. Dal momento che il presente scritto è tratto da uno schema, che avevo sotto mano in occasione della prima presentazione del romanzo, esso è inevitabilmente lacunoso e veloce. Spero di avere in futuro il tempo per poter chiarire altri aspetti che ho dovuto, purtroppo, tralasciare necessariamente.


  1. Genesi dell'opera e questioni preliminari.
Fedele alla mia linea ostile a concetti come “identità” e “giudizio” vorrei in primo luogo mettere in guardia chi volesse farsi condizionare da quello che si sa di me per giudicare l'opera (tutti sempre hanno questa ossessione per il giudizio) o peggio ancora di arrivare a conclusioni su me a partire dall'opera.

A chi, conoscendomi, fosse sorpreso di vedermi qui oggi posso dire che ho sempre amato scrivere, ma non ero mai stato in condizioni di dedicare a questa attività il tempo necessario per poter portare avanti un lavoro di un certo spessore, né ero mai stato soddisfatto delle mie composizioni redatte a tempo perso. Scelta tutto sommato strategica: in un momento di crisi ho creduto bene di approfittare della stasi generale per impegnarmi in uno scritto che seppure possa sembrare eseguito di getto è molto meditato e mi ha assorbito con certa costanza per un paio d'anni. Premessa forse va fatta riguardo al risultato finale-editoriale del romanzo che è molto più snello della sua formulazione originaria.

In sintesi di che tipo di romanzo si tratta? È un flusso di coscienza di taglio biografico (apparentemente auto-biografico dato che il nome del personaggio coincide con quello dell'autore fittizio), ed è un racconto posto semplicemente in un modo di ricordare che mima l'erranza di un pensiero, o del mio modo di pensare (da intendersi come meccanismo di associazione di idee e non rispetto al contenuto) distorto però da una particolare intensa ossessività affine all'insano. C'è senza dubbio la latenza di una malattia mentale del protagonista.

L'opera è strutturata a strati in modo che possa avere più livelli di lettura. Tecnica usata per cercare di captare l'interesse di chiunque, e ciò si esemplifica già nella trovata della situazione storica: c'è un “accadimento storico” che origina un determinato lasso di tempo, nel quale poi si schiude il complesso di vicende narrate. C'è quindi un evento concreto -che scocca un pensiero- e il pensiero è al contempo ricordo e attualizzazione-interpretazione del vissuto (quindi in tal senso è un modo “unico di ricordare”, proprio di quella determinata situazione storica e per tanto irripetibile pur nella ciclicità ossessiva con cui il protagonista ripensa al suo passato recente). Il personaggio, Andrea, è in un bar probabilmente con una Guinness davanti e la ragazza con la quale è uscito si reca al bagno, poi torna. Questo è quello che succede nel tempo del racconto. Il resto non “accade” nella contemporaneità se non nella mente del protagonista, lui ricorda, e il suo ricordo segue un iter particolare tocca vari temi ma si involge specialmente su un oggetto e poi su una persona in particolare che a ben vedere è presente sin dalla prima riga.

Se fossi chiamato a definire “il tema” dell'opera, francamente, non saprei che rispondere oltre a quello della pazzia incipiente, dal momento che lo scritto coinvolge vari aspetti della biografia di un personaggio complesso costruito meticolosamente ed è quindi una finta biografia, che ha come filo conduttore una storia d'amore che tuttavia è del tutto rarefatta e assolutamente insignificante nell'economia e nel senso più vero e profondo dell'opera.
Volendo essere onesto, tuttavia, benché io sostenga sempre che la storia d'amore narrata non è la parte principale, e men che mai fondamentale, dello scritto, se dovessi rispondere a una domanda simile alla precedente, ma magari formulata in altro modo (per esempio, quale è stata la prima considerazione-domanda che mi ha impegnato e spinto a scrivere) direi che essa gira attorno alla questione di cercare di interpretare cosa un uomo del medioevo (per quello che ne possiamo capire e comprendere) sarebbe spinto a contemplare nella nostra epoca rispetto all'amore e all'universo femminile. Sopratutto uno che pensasse di poter essere salvato e poter trascendere per mezzo della bellezza femminile.

Lo scritto infatti si gioca tutto su una carambola di significati, che considero fondamentale, e muove da soventi, e più o meno diretti, riferimenti alla Divina Commedia. Alcuni di essi posso svelarli subito dato che attengono agli elementi più direttamente evidenti a chi prenda in mano il libro e non lo abbia letto, altri il lettore potrà apprezzarli nel testo. Alcuni sono meramente scherzosi, a mo' d'esempio, la fine di ognuna delle tre parti in cui è idealmente diviso lo scritto termina con la parola “stelle”.
E ancora:
  • Il titolo viene dalla lettera 1 Corinzi 3: 12-15 dove il purgatorio è definito quasi come una prova del fuoco “ci si salverà, ma come chi attraversi il fuoco”. Sappiamo che Dante recinge l'ultima cornice (quella dei lussuriosi) di fuoco, e che egli stesso deve attraversare il muro di fuoco per accedere all'Eden.
  • Anche lo pseudonimo ha un senso che coinvolge in certo modo l'opera dantesca. Volevo che il nome del personaggio coincidesse con quello dell'autore, e che, come nel Canto XXX verso 55 della seconda Cantica, fosse la persona che egli ama a nominarlo dissipando ogni dubbio rispetto all'identità del protagonista. Per capirci avrei anche potuto formulare il titolo in modo diverso, e mettere il mio nome reale come autore, intitolando: “Come Andrea attraversa il fuoco”, ma poi non sarebbe venuta l'anfibologia che considero tutto sommato necessaria per mantenere il gioco di prospettive con il passo scritturale e il fuoco della lussuria e ancor di più per costruire quella atmosfera di incertezza che volevo fosse presente da subito.
  • La copertina: la scritta imperiale accostata una scimmia anche ha una specifica valenza, richiama infatti classicismo e modernità.
  • La biografia personale è in prima persona.
  • La riflessione si muove su tre livelli: quello personale, quello dell'epoca, e quello esistenziale.
  • L'opera è divisa in tre parti etc.
     

     2. Il genere, lo stile.

E' stato, molto opportunamente, definito come un hardboiled, e di certo lo stile e buona parte dell'estetica narrativa supportano questa azzeccata affermazione. Non la supportano però i contenuti scelti, né la storia tout court. Questi semmai vengono da ben altri richiami bibliografici, potrei menzionare, senza dubbio degli influssi: Celine, Bene (su due piani, Majakovskijano e decostruzionista), Palaniuk, Cioran, Dagerman, Orwell, ma anche Lovecraft, Poe.
Perché tante stranezze e uscite dagli schemi? Per un recupero tutto sommato dell'artigianato, e dello squilibrio, dell'imperfezione e del personale, per non sottostare a delle anonime ed implicite leggi del consumo che tendono oggi alla confezione di prodotti “perfetti” di maniera, equilibrati, etichettabili.

Riguardo alla questione della prima persona-assenza del dialogo, va precisato che si tratta della scelta più difficile che abbia dovuto compiere. Essa muove, tra spesse difficoltà tecniche, dalla necessità di creare quel senso di vuoto, di solitudine, ma sopratutto di incertezza rispetto al mondo, che non sarebbe stato possibile riprodurre con la, necessariamente consolatoria, presenza di un narratore-spettatore che sarebbe stato in certo modo anche interprete e garante delle circostanze narrate.
La solitudine del personaggio, e il fatto che venga macerato sopratutto dall'incertezza, erano i miei obiettivi primari da raggiungere anche in ossequio all'addio che Majakovskij tributa ad Essenin: “...l'incertezza ha provocato scompiglio...” e ciò è possibile solo lasciando la mente del pensante sola con se stessa, cancellando l'autore.

Potrebbe essere anche definito, tutto sommato, come un “romanzo della negazione”, basti pensare alla prima frase, il mio obiettivo era immergere attraverso questi espedienti stilistici il lettore in una atmosfera di rottura solitaria anche senza che se ne rendesse conto.

La questione di stile riguarderebbe anche il linguaggio (e sarebbe molto complicata da sviscerare sia nella genesi che nelle trasformazioni che ha subito) e la selezione-creazione delle vicende narrate, che rispondono a dei criteri molto serrati. Prima di passare a questioni contenutistiche basti solo mettere a fuoco come la storia sia del tutto priva di orpelli e spoglia di qualunque “moto”, non succede in effetti nulla. Con questo volevo creare un determinato effetto di scoramento e angoscia in certo modo assimilabile a quello del Deserto dei Tartari, ma nelle ambizioni più attuale e identificabile per le persone della mia e delle successive generazioni, al contempo negando la valenza estetica e contenutistica delle opere attuali zeppe di eventi sorprendenti, gesta impossibili (rivoluzioni, ammazzamenti, grandi conquiste amorose, sesso ipertrofico etc.). Provando a mantenere vivo l'interesse in assenza di colpi si scena, ma solo con le considerazioni formulate dal personaggio si riprende anche quella polemica tipica di Cervantes contro la letteratura cavalleresca riproposta, nella sua idiozia, nel cinema di maniera odierno (action movies compresi).


  1. Contenuti.
Vi sarebbe da distinguere tra i contenuti interni all'opera, “nell'opera” e quelli “dell'opera”.
Sui primi si apre apparentemente il vaso di Pandora posto che il testo ha un certo piglio filosofico, necessario ai fini di creare un determinato tipo di personalità, ma anche di richiedere al lettore un impegno “inattuale”, un certo sforzo. In effetti però tutti gli elementi del ricordo non sono altro che tasselli necessari per creare un personaggio che voleva essere indecifrabile e non ascrivibile a una categoria determinata. Non è intelligente e non è stupido, non insensibile ma univoco, non debole ma neppure infrangibile, è cioè il contrario di quel genere di soggetto che ci si propina di solito oggi. Volevo non fosse simpatico ma neppure odioso e assolutamente privo di autocompiacimento, anche se forse alcuni tagli allo scritto originale hanno un po' minato questo obiettivo vagamente autolesionista. La contraddizione lo intaglia e determina fino al punto di renderlo, per esempio, crudele -lui sì!- nell'univocità con la quale ama e desidera.

Riguardo poi alla selezione degli argomenti e delle situazioni riportate nel testo ho semplicemente creduto di trattare di mondi e di ambienti che conosco e che ho effettivamente vissuto privandole di ogni nota positiva e focalizzando solo il peggio di essi: tribunali, università, lavoro, etc. e lasciandone in luce sempre e solo la lisa e meschina banalità. Il personaggio quindi appartiene al “mondo” dell'autore solo nella misura in cui ciò è stato utile per poter riprodurre quella atmosfera di disinvoltura possibile solo in campi effettivamente vissuti, lo stesso valga per luoghi, città, ambienti, gusti personali.
Il contenuto dell'opera (quello presente nello scritto) è solo in parte assimilabile al mio pensiero (io sono più estremo del personaggio per alcuni versi, più complesso per altri, inquieto per altre questioni etc.). Andrea è un personaggio fittizio di certo a me simile che voleva però assurgere a prototipo di un'epoca senza, al contempo, esserne però un vero rappresentante, dato che ha sì problemi tipici del suo periodo storico, ma un modo assolutamente personale di viverli e rielaborarli. È il contenuto esterno all'opera quello vero ed autenticamente dell'autore, ed esso è molto più complesso e corposo e va al di là di una semplice critica sociale o generazionale.

La caratteristica forse più evidente del personaggio è di spaziare e prendere posizione un po' su tutto: amore, femminilità, violenza, esistenza, divinità, tradizione, legge, etc. in essi di più genuinamente mio rimane forse solo quell'irritazione che mi provoca l'atteggiamento comune di remissività verso ciò che è considerato scontato, dovuto.

Quanto al senso primo “dell'Opera”, cioè quello che io voglio comunicare con essa, dovrei ribadire innanzitutto che quello fondamentale ed anche più chiaramente definito attiene alla “malattia mentale”, latente, del protagonista, che assume consapevolezza di essa -da subito- (nel corto circuito ossessivo della rimembranza) e che vuol significare che una società -essa sì- malata del tutto non può che provocare malattia del pensiero nei suoi abitanti. La frequentazione di ciò che è malato crea a sua volta malattia, malessere; questo è il sunto più breve e semplice che si potrebbe fare.

La storia, dove “non succede nulla”, è voluta proprio perché in questo momento (opinione mia) 1. non succede nulla, 2. siamo abituati a distrarci contemplando scintillanti vite di altri rinunciando alla nostra, 3. siamo una generazione di gente che non può nulla, e non ha mai deciso nulla. A mantenere sveglia l'attenzione sul testo non è infatti mai il succedersi di grandi avvenimenti, grandi efferatezze, grosse mobilitazioni di mezzi, danaro, etc. ma è il solo pensiero e la voglia di capire cosa si ha davanti, nella convinzione che la missione inevitabile -ed il mistero più grande- della condizione umana  sia quello della conoscenza e il resto nient'altro che distrazione.

Altri sensi andrebbero ricercati nella filosofia del linguaggio e soprattutto nelle formulazioni che ne fa Bene (in: Quattro momenti su tutto il nulla, per es.) tema del “mancato” e nel “non detto”, nella consapevolezza che la costruzione di un personaggio del genere e la redazione di un testo con queste caratteristiche di continua non risoluzione delle problematiche vitali affondano nella comprensione di non essere “veri soggetti”, individui e di non disporre del linguaggio e meno che mai del senso, ma esserne disposti. Se dovessi parlare del tema che preferisco, parlerei di questo tema, che per me è il fondamentale: perché ho costruito un personaggio del genere e lo ho immerso nell'erranza di un pensiero così a scatti?! E di che personaggio si tratta fuori dall'aneddotico?

Il romanzo è stato definito con una azzeccatissima chiosa amichevole come una “favola amara al contempo attuale e anacronistica”. Lui, crocefisso tra due epoche mima nella riflessione la celebre scena di Bene che compone manichini bianchi i cui pezzi non combaciano. Sin dalla copertina volevo fosse evidente la sua stolida pretesa di maneggiare concetti antichi, categorie inattuali per risolversi nella vita. Un personaggio trasognato ma cinico che sfocia in più occasioni in un ridicolo demenziale e sardonico, steso su una cultura che analoga a un letto di Procuste di oltre duemila anni lo stira fino a farlo a pezzi.

Altro parallelo andrebbe formulato anche con l'Amleto, anche lui beniano, che pare essere un personaggio a cui sarebbe chiaro il contenuto fattuale di un comportamento etico, ma che temporeggia insensatamente non rintracciandone in sé i contorni di adesione personale e autentico convincimento. Il protagonista invece è convinto della sua posizione nichilistica e interventista, ma trova in sé delle scomode adesioni assiologiche che relega nell'estetico e delle quali non sa disfarsi.

Ho, infine, voluto accostare due mondi che comunemente si ritengono piuttosto eterogenei dato che ho cercato oltre a strutturare il discorso e riferirmi sovente alla Divina Commedia e ad opere medievali, di ripercorrere durante la stesura i temi più tipici e battuti dell'Heavy Metal: dallo splatter-gore, al languido, dall'amore, all'amicizia, dall'epico, al rassegnato, dal blasfemo, al delirante, al grottesco etc. Non saprei dire se il discorso convince, se questi temi possono coesistere senza accapigliarsi tra loro, di certo io sono abituato dato che in me coesistono da oltre vent'anni senza creare scompigli di sorta.

Nell'immagine l'azzeccatissimo articolo uscito sul Resto del Carlino in occasione dell'evento tenutosi il 20-11-2011

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